Correlazione tra stress idrico e metantiolo nel vino: cause, effetti e strategie di prevenzione

Il profumo di un vino può raccontare un territorio, una stagione, una mano enologica. Ma a volte, quel racconto può essere rovinato da un solo intruso: il metantiolo. Negli ultimi anni il cambiamento climatico ha profondamente modificato l’equilibrio in vigna e in cantina. Le estati torride, lo stress idrico e la carenza di azoto nei mosti stanno favorendo la formazione di composti indesiderati, tra cui il metantiolo, noto per il suo sentore pungente di cavolo marcio. In questo articolo analizzo le correlazioni tra condizioni climatiche estreme, nutrizione del lievito e produzione di metantiolo, spiegando cosa succede a livello biochimico e quali strategie adottare per evitarne la formazione, senza compromettere l’equilibrio aromatico del vino.

Cambiamento climatico e qualità del vino

Negli ultimi 20 anni le temperature medie sono aumentate e gli anticicloni di matrice africana hanno dominato le estati in tutto il bacino del Mediterraneo, ovvero in tutte le aree a tradizione viticola. Si sono raggiunti picchi termici di 42 – 43°C non solo in aree tradizionalmente calde come la Spagna, il Sud Italia e il Midi Francese, ma anche in Nord Italia, nel Bordolese, in Borgogna, nella Valle del Reno.

Contestualmente le precipitazioni sono crollate nel periodo estivo in tutto il Continente Europeo. Non vi è alcuna area d’Europa, al di sotto del 50° parallelo che non abbia sperimentato estati roventi. Il serbatoio di tali ondate di caldo, che sono arrivate a toccare più volte persino la Lapponia, si trova nel deserto Algerino. In tale area, a soli 1000 km in linea d’aria dalla coste dell’Italia si raggiungono temperature di 50°C.

Negli anni queste potentissime bolle di aria rovente si trasferiscono sul Mare Mediterraneo, che essendo un bacino chiuso si scalda fino a raggiungere in agosto, temperature superficiali di 30°C.

Rappresentazione schematica di una avvezione Sahariana sull’Italia

Carenza di azoto nel mosto: effetti sui lieviti e sulla fermentazione

Il riscaldamento del Mediterraneo determina un incremento delle temperature notturne, che è di particolare importanza per la vegetazione. Infatti, alte temperature notturne determinano nelle cellule delle foglie una maggiore respirazione, catabolizzando l’acido malico e determinando una diminuzione degli amminoacidi. Questo fenomeno si estende ovviamente anche alle bacche d’uva, per cui i mosti risultano poveri in azoto amminoacidico; questa forma di azoto è l’azoto α-amminico: “α”, in quanto il gruppo funzionale amminico è posto sul carbonio “α”,ovvero il carbonio prossimale al carbonio carbossilico (figura sottostante).

Struttura molecolare di un α-amminoacido

Ruolo degli α-amminoacidi nella fermentazione alcolica

Gli amminoacidi presenti del mosto vengono ricombinati dal lievito

Gli amminoacidi presenti nel mosto vengono assorbiti dal lievito e riarrangiati in modo da produrre le proteine e i peptidi che al lievito sono necessari. Ciò avviene nella fase di crescita esponenziale del lievito, ovvero quando la popolazione, espressa in cellule/mL, cresce in pochi giorni da 100.000 a 100.000.000 di cellule/mL. La cellula del lievito smonta gli amminoacidi eliminando i gruppi amminici o parti dello scheletro alchilico (R); infine gli amminoacidi possono essere privati del carbossile dando origine agli alcoli superiori (tema che merita approfondimento in altra sede).

Eliminazione del gruppo amminico dal suo α-amminoacido

La deamminazione degli α-amminoacidi da parte del lievito

La deamminazione avviene sul carbonio α dell’amminoacido, sostituendo l’idrogeno e il gruppo –NH2 (cerchiati in blu nella figura sottostante) e ponendo su tali valenze rimaste libere un atomo di ossigeno che verrà legato al carbonio α tramite una doppia valenza.

Il coenzima NAD+ sottrae un idrogeno dal carbonio α dell’amminoacido creando un radicale elettropositivo su cui si innesta l’ossigeno donato da una molecola d’acqua; sul carbonio α si crea perciò un gruppo chetonico, che rende il chetoacido chimicamente stabile, in quanto portatore di due doppi legami coniugati (cerchiati in verde nella figura).

Formazione di un chetoacido con liberazione di ione ammonio mediata dal coenzima NAD+

In questo modo il lievito ha ricavato una molecola di ammonio, mattone essenziale al fine di sintetizzare nuovi amminoacidi ad esso necessari. In caso di mosti carenti di azoto il lievito deve operare una trasformazione su tutti gli amminoacidi presenti nel mosto; questo comporta pure l’attacco di alcuni amminoacidi solforati, tra cui il più pericoloso per il bouquet del vino è la metionina.

Metionina e metantiolo: i rischi per il bouquet del vino

La metionina è un precursore del metantiolo

La metionina è un α-amminoacido solforato, in quanto contiene un atomo di zolfo: secondo la reazione spiegata nel paragrafo precedente la metionina può essere decomposta dal lievito in 3 molecole:

  1. il chetoacido, che in questo caso è l’acido α-cheto-butirrico

  2. lo ione ammonio, che è la forma solubile dell’ammoniaca al pH acido del mosto – vino

  3. il metantiolo, che è la “coda” dello scheletro carbonioso (R)

Scomposizione della metionina con liberazione del matantiolo

Il metantiolo è una molecola estremamente odorosa e purtroppo il suo descrittore è il cavolo marcio: una volta che si è liberato nel vino è impossibile eliminarlo senza compromettere i tioli gradevoli, come il 3MH e il MMP.

Se in un mosto osserviamo la lisi di un solo mg/L di metionina avremo la liberazione di 330 μg/L di metantiolo: siccome la soglia di percezione del metantiolo è di 20 μg/L, la decomposizione di 1 mg/L di metionina determina una concentrazione di metantiolo pari a oltre 16 volte la sua soglia di percezione: in altri termini il metantiolo, originando un odore di cavolo marcio, coprirà completamente le note fruttate del vino, anche se marginali tenori di metionina verranno decomposti.

Odori sgradevoli e off-flavour: il problema del metantiolo

Come evitare la formazione di metantiolo

Il metantiolo come tutti i solfuri, se messo a contatto con l’ossigeno può creare il dimetildisolfuro (DMDS); per questo motivo i vini con odore di aglio vengono, da taluni, arieggiati o macro- ossigenati.

2 CH3-SH + ½ O2 → CH3-S-S-CH3 + H20

Caratteristiche del Dimetildisolfuro

Purtroppo il DMDS è caratterizzato da un forte odore di aglio, quindi la sua formazione via ossigenazione non risolve il problema. La sola via per evitare questi “off-flavours” è la prevenzione, ovvero offrire al lievito una alternativa all’attacco della metionina nei mosti a scarsa dotazione azotata.

Come prevenire il metantiolo nel vino: approccio nutrizionale

Se i mosti che andremo a fermentare sono molto poveri in azoto α-amminico e in azoto ammoniacale possiamo attenderci che il lievito attaccherà la metionina: a tal proposito potrebbe essere utile analizzare il tenore in metionina nel mosto. Ma data la bassissima soglia di percezione del metantiolo nemmeno un basso tenore di metionina costituirebbe una totale garanzia.

Il lievito scompone la metionina per ottenere lo ione ammonio e l’acido α-cheto-butirrico; l’ammonio gli è necessario per formare nuovi amminoacidi mentre l’acido α-cheto-butirrico entra nella via di sintesi dell’isoleucina, un altro amminoacido utile al lievito.

Il metantiolo invece al lievito non serve e viene liberato nel mezzo.

Nutrienti alternativi per il lievito enologico: soluzioni e limiti

Fornire ammonio è la via più facile in caso di estreme carenze in azoto α-amminico. Un mosto con 50 mg/L di azoto α-amminico può essere fornito di 60 mg/L di ammonio (con 300 mg/L di DAP).

L’unica attenzione va fatta nel trovare il momento ideale in cui fornire l’ammonio: tale aggiunta va fatta in concomitanza con la fase di crescita esponenziale, quando il lievito deve creare nuove cellule (in questo momento l’ammonio naturale è di certo già scomparso dal mezzo, cosa facilmente verificabile con una analisi enzimatica).

Oltre a fornire ammonio possiamo fornire estratti di lievito ad uso enologico, che sono più o meno ricchi in amminoacidi. Incrementare l’azoto α-amminico tramite l’aggiunta di derivati di lievito è impresa ardua e costosa. Ad esempio per portare l’α-amminico di un mosto da 50 mg/L a 100 mg/L servono non meno di 100 g/hL di derivati di lievito e spesso assai di più. Tali dosaggi non sono contemplati nella comune pratica enologica, dove le aggiunte si aggirano attorno ai 20 – 40 g/hL. Con tali aggiunte l’incremento in azoto α-amminico sarà pari a 10 – 20 mg/L, non sufficiente a scongiurare la formazione di metantiolo.

Si può tranquillamente affermare che un clima mite e piovoso sarebbe il miglior attivante, in quanto fino all’anno 2000, quando le estati erano mediamente più fresche e piovose, le dotazioni in azoto α-amminico erano spesso anche eccessive (200 mg/L di mosto). Ora nelle stesse zone si è passati (nelle annate calde e siccitose) a tenori di 50 mg/L.

Ma sul clima occorre soffermarci in un secondo momento tanto è vasto l’argomento e tante sono le implicazioni che sta avendo, in particolar modo sul regno vegetale.

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