Oltre la bentonite: proteine e acidi grassi nel vino

In questa pillola enologica ti guiderò alla scoperta di come in teoria è possibile dire addio alla bentonite. Introdurrò una via del tutto sperimentale: l’interazione tra proteine e acidi grassi, al fine di ottenere un vino più stabile.
Scopri oggi come studiare le proteine, per eliminare la bentonite domani!

Bentonite e instabilità proteica

Tra i coadiuvanti enologici più odiati c’è di sicuro la bentonite e nonostante molta ricerca sia stata fatta in proposito, oggi continuiamo ad essere schiavi di questo chiarificante. Tra i tanti usi che la bentonite ha mi limiterò qui a trattare il suo effetto deproteinizzante ponendomi una domanda: “È proprio necessario usare la bentonite per eliminare le proteine instabili?

La Palice risponderebbe con un’ovvietà: “Sì, se i test di laboratorio danno un risultato positivo”.

Ma io insisto e ragionando insieme a te, provo a trovare il modo di rendere stabili le proteine!

Qual è il ruolo della bentonite nel vino?

Le proteine sono dei colloidi elettropositivi, correlate alla difesa della pianta dagli stress biotici ed abiotici; nel mosto sono presenti fino a 300 mg/L: tra le principali vi sono chitinasi, taumatina-simili, β-1,3-glucanasi, invertasi, lipide-transferasi, osmotina.

Essendo queste proteine dei colloidi elettropositivi sono presenti nel vino in stato di sol e quindi non sono visibili. Questo finché il calore non ne modifica la struttura e quindi lo strato di solvatazione che le teneva in stato di sol determinando una “casse proteica”.

Bentonite vino bianco? Bentonite vino rosso?

Partiamo da un presupposto. Non tutti i vini hanno bisogno di bentonite. I vini rossi con almeno 12 mesi di vita non danno in genere esito positivo ai test proteici.

Aggregazione proteica e test di stabilità

Ci sono troppi metodi per testare le proteine a caldo. Teniamone due.

Uno, quello veloce, prevede che un vino a torbidità di 2 NTU sia posto in bagnomaria a 90°C per 1 ora, dopo di che raffreddato a 4°C per 2 ore e infine, a temperatura ambiente, posto in nefelometro per leggere la torbidità. Se non c’è differenza tra la prima e la seconda lettura il vino può dirsi stabile.

Il secondo test proteico, che decisamente preferisco, cerca di essere più aderente alla realtà dei fatti e prevede che il vino, sempre a 2 NTU, sia posto in bagnomaria a 40°C per 4 giorni, dopodiché raffreddato a 4°C per 2 ore e quindi sottoposto alla lettura della torbidità.

Pochi crederanno che il secondo test è più severo del primo. Ma è il tempo e non la temperatura in sé a operare la modifica sostanziale nelle proteine. Resta il fatto che il test di quattro giorni richiede pazienza e dedizione. Come tutte le cose fatte bene dopotutto. E qui chiudo la parentesi sui test proteici.

Addotti stabili… con o senza tannini?

I vini rossi di un anno, dicevo, sono negativi al test a caldo, il che non vuol dire assolutamente che siano privi di proteine, bensì che queste sono inserite in addotti stabili.

Cosa rende stabili al calore questi addotti? Viene da pensare che siano i tannini, per attrazione elettrostatica. Resterebbe quindi l’amara conclusione che, dato che nei vini bianchi e rosati i tannini non li ho, alla bentonite non potrò sfuggire!

Stabilità proteica nei vini, strade alternative e vie sperimentali

Ma io mi oppongo e rilancio: i tannini sono proprio necessari alla stabilità proteica? O non esistono forse altre molecole che possano creare composti stabili con le proteine? Dopotutto non di sole proteine e tannini è fatto il vino.

Ci sono molti colloidi glucidici ad esempio, presenti nelle bucce e nelle parti solide che dalle bucce derivano. E ci sono gli acidi grassi, che sono a tutti gli effetti degli acidi carbossilici deboli. L’acido miristico ad esempio interagisce con l’albumina, mentre l’acido palmitico interagisce con altre proteine, creando nuovi composti, degli addotti appunto.


Gli acidi grassi sono naturalmente presenti nelle membrane cellulari dell’uva, come in tutte le membrane cellulari. Vi è una vasta letteratura scientifica in merito, basata sui legami tra acidi grassi e proteine del sangue, come l’albumina umana:

Le proteine con funzione di trasporto intracellulare sono costituenti delle membrane cellulari immerse nel doppio stato fosfolipidico e quindi necessariamente hanno una interazione chimica con le componenti lipidiche. Le membrane cellulari sono simili per ogni tipo di cellula, sia animale, vegetale o fungina. Perciò la membrana cellulare dell’uva è costituita da acidi grassi a lunga catena, saturi, monoinsaturi, di insaturi e tri insaturi; nonché, ovviamente da proteine.

Nei mosti in cui la sosta con le parti solide (costituite in buona parte dalle membrane cellulari dell’uva) viene protratta per periodi di almeno 15 giorni e la cui fermentazione successiva viene svolta ad alte NTU, le proteine sono stabili. Questo mi hanno finora suggerito i due test che faccio, sia quello rapido (90°C), che quello lento (40°C).

Ipotizzo perciò una correlazione positiva tra gli acidi grassi dell’uva (derivanti dalle parti solide) e la stabilità delle proteine nel vino. Se in fase prefermentativa elimino subito le parti solide e dò corso alla fermentazione con NTU al di sotto di 150 mi troverò ad avere più proteine libere nel mosto, proteine che daranno maggiore torbidità nel test di stabilità.

Se mantengo nel mosto all’uscita dalla pressa una buona aliquota delle parti solide e tengo la torbidità del succo a 1000 NTU per almeno due settimane tra gli zero e i due gradi, quindi le separo dai fondi più pesanti per fermentare a 300 NTU, il vino finito probabilmente darà test proteico stabile.

Sono conscio di avere fatto una affermazione di un certo peso e non mi resta che rimettermi alla scienza. La letteratura medica mi ha suggerito le interazioni tra proteine e acidi grassi. Per quanto riguarda l’enologia non resta che condurre ulteriori sperimentazioni.

Letteratura:

  •  link 1: pubblicazione scientifica di Stephen Curry, Peter Brick, Nicholas P. Franks su Siencedirect.com

  • link 2: pubblicazione scientifica di Stefano Curry, Hendrik Mandelkow, Peter Brick e Nick Franks su nature.com

  • link 3: pubblicazione scientifica di Maja Thim Larsen, Matthias Kuhlmann, Michael Hvam, Kenneth Howard su researchgate.net

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Vini bianchi, li filtro oppure no? Dubbio amletico